L’alba

   L’alba 

   ‘l nascer di vita da ‘l sonno e un oblio, l’anima che sorge co noi, istante de l’tempo, lampo d’eternità, stella de la nostra vita, ebbe altrove la sua dimora.

Tempo, alchimia de lo spazio, corre immobile mutando la propria qualità. Scorrere, fluir temporale, distillati istanti di tempo d’un istante sempre uguale a se stesso ne la diversità che lo riempie. Eternità, ombra, racconta di sé attraverso ciò ch’ella non è. 

Tempo, luce, istante che dura ne lo spazio de l’attimo che lo sostiene. Lapalissiana forma da l’amplesso unisono canto d’un visibile temporale e d’un invisibile eco eterno. Dicotomica assonanza, onde ‘l cor doglioso stilla quel ch’ha perso, ne l’istante, l’anima arride per quel ch’avvide, ne l’eterno.

Lo stellato velo pien di speme oltre ‘l corpo che si frange, vasta orma che scivolar veggo ne l’mar de l’mondo eterno. Ella sù tuoi flutti spumanti risuona ancor ne l’velar de l’tempo. Errante teco son fulvi li ricordi, li pensier de la mente e, ove glauca trascende ne l’alma. Ond’ei al vivo esser erasi desta ne l’sottil nembo de ‘l sentir, mero udir, e ne la profilata plaga de ‘l veder, prisco guardo, l’anima invitta. Ognun vi dona qualcosa di sé. ‘l respir e ‘l sentir s’accordano ritmici, parole d’unità sgorgano lievi in forme e sintassi armoniose. Ne la coscienza irradiata ogni relazione, vicenda o esperienza trasmuta in frammento di insegnamento e in incontro di lumi, di anime. Ogni evento, prova e ventura esublima in nuova capacità e sedimento di saggezza. 

Sicché son canto ch’è movimento. Son canto a me stesso. Son canto ch’intona parole ne l’mondo. Odo frusciar vita, poiché, la mia realtà è ardor elegiaco,

è ‘l fusto d’un cieco, se infusa d’immaginario; ma, sol se ello di realtà léna:

La luce, la parola de la natura, percossa forma d’immenso, andito veduto che di lontano veder soleva. Antico chiaror ch’ei fugace dinanzi vide, così suaso d’ardor, meraviglia, ne la loggia de lo stormir de ‘l plauso spiro stette.


   Cangiata stella de ‘l mattino, diletta rimembranza de ‘l notturno, splendesti da un cielo terso su un campo rameo trepidante imperitura. Fui stupore, fui luce. Fui sogno cesellato de l’attimo. La lancetta nascosta stava guizzando oltre. ‘l monotono frinir de le onde riempì l’aura, ’l vento tacea, mentre ei aspettò immoto l’imminente passo de l’alba. Sensorialità diffuse ed effuse condensarono in defili territori raffissi ne la coscienza e ne l’anima. De’ quali possiam scernere ch’ella, onde stante oscurità ne l’mero esser, sommi, riflesso di detta luce sul sestante de l’esistenza umana.

La presenza umana, dimora che ‘l chiaro spiegava e scorrea d’eloquenza a fiumi, specchio de l’esser che riflette; manda luce, scintilla e diffonde luce quando v’è ‘l sol e, onde cala ‘l novilunio rivela e sublima lo splendor di luce de l’esser. 

La parola, la luce de l’umanità. La luce ch’illumina, ‘l baglior ch’oscura. Luce da l’essenza delicata, pericolosa, onirica, nuda, viva, morta, nebbiosa, chiara, scura, calda, sensuale, primordiale, fluida, cadente, dritta, limitata, nefasta, calma e sospesa.

La speranza, la luce de l’esser, qual fosse la strada ne l’iride pur mi restava.